Continua a fissarmi dritto negli occhi, ma il suo sguardo non ha niente di umano. E’ seduto di tre quarti, su di una poltrona girevole in pelle nera che ho scelto io, come la scrivania contro la quale ha appoggiato un ginocchio. Ostenta una calma che non ha, tradito dalla biro che continua a tamburellare sull’agenda. Me lo ha insegnato proprio lui “Se parli con qualcuno e continui a giocherellare con un oggetto che hai in mano, vuol dire che tra te e quella persona c’è tensione”.

Resto in silenzio e ascolto quello che non ha da dirmi. La sua comunicazione non verbale è più che eloquente. Sembra ancora il ragazzino che giocava con i soldatini insieme a mio fratello. Alla sua età dovrebbe essere un uomo e invece ha negli occhi la stessa provvisorietà dell’adolescenza, la stessa irrequietezza. Sarebbe normale da parte mia provare rabbia, risentimento, sdegno ma non riesco a sentire null’altro che un enorme affetto verso questo posto in cui ho messo piede tutti i giorni degli ultimi quindici anni. È questo l’errore che commetto da sempre. Canalizzo le emozioni negative verso me stessa, non riesco mai ad avercela davvero con qualcuno, tendo a giustificare cercando del buono nelle altrui, pur discutibili, azioni. Per me, quest’uomo che ho di fronte e che mi parla come se non mi conoscesse, resta un fratello. Non di quelli che appartengono allo stesso nucleo familiare, ma legati dalle stesse motivazioni, dalla stessa passione per un lavoro costruito dal nulla, da un’infanzia trascorsa nello stesso quartiere.

Sotto l’orologio che da sempre porta a destra, s’intravede un tatuaggio piccolissimo che cerca di nascondere, ma del quale io ,insieme a pochi altri, conosco l’esistenza, essendo stata presente quando il piccolo ago incise sul suo polso la parola “Vivi” e invece, su quello di mio fratello, un minuscolo fiore in memoria di nostra madre scomparsa da poco. Avevano entrambi venticinque anni ed io diciassette; la loro vita, piena d’amici e viaggi avventurosi con pochi spiccioli in tasca mi sembrava interessantissima e irraggiungibile.

Se non mi stesse rovinando la vita potrei anche ritenerlo un bell’uomo ma la bellezza è un complicato percorso mentale che differisce da persona a persona dunque, in questo momento, vedo davanti a me soltanto un grandissimo stronzo.

  • Teresa, ti rendi conto di aver vomitato nel bagno dello studio del notaio? Capisco la tua posizione ma, onestamente, te la senti di continuare a fare questo lavoro, pieno di scadenze e responsabilità, in questo stato?
  • Vorrei rispondergli che posso farcela ma non ne sono tanto sicura, sento solo uno strano calore salirmi su per il viso. La sensazione di stare per perdere qualcosa di prezioso accelera qualcosa in me. Ora so come si sentono i passeggeri di un aereo che sta per precipitare: morti ancor prima dello schianto. Mia madre diceva :”Il sano non crede al malato”. Penso che niente unisca più del dolore e che niente allontani di più due persone dell’idea che quel dolore non lo si possa mai provare.
  • Posso farcela e tu lo sai - Dico senza convinzione. Perché’ se ormai da mesi avverti un dolore trafittivo alla testa quasi quotidiano, tipo chiodo conficcato, sai che non potrai essere in nessun posto che non sia una camera buia e silenziosa in esclusiva compagnia dell’antidolorifico di turno. Emicrania senz’aura la diagnosi di uno specialista neurologo.

Siamo andati sulla luna ,abbiamo debellato virus letali e creato vaccini, un chirurgo esperto ormai effettua un trapianto d’organo come se stesse estraendo un dente, abbiamo ricostruito mappe di cellule staminali, scoperto buchi neri nell’universo ma non siamo riusciti a trovare una terapia efficace per un cavolo di mal di testa. Anche se l’emicrania non è un semplice mal di testa ma una patologia invalidante che deve essere adeguatamente curata, ma a questo quasi nessuno crede tranne, appunto, chi ha avuto la sfortuna di nascere o di diventare non si sa, emicranico.

Fino ad ora la mia vita non è stata semplice; a tratti intensa , al contrario in altri momenti ho creduto non avesse un gran senso, ma questo preciso istante in cui i miei occhi m’implorano di liberarsi e piangere e il mio orgoglio me lo vieta, credo sia decisamente uno dei peggiori. Da domani non sarò più io perché’ forse me ne starò a casa ma il mio cuore sarà rimasto qui, in quest’ufficio, fra queste scartoffie che non ho mai avuto il tempo di riordinare. Sarà su ciascuna delle chiavi allineate con cura in quell’ armadietto a parete di fronte a me, ognuna delle quali apre un’immobile; che sia un basso ,un attività commerciale o una villa residenziale, ogni immobile è unico e il suo destino sarà strettamente legato a quello di chi lo acquisterà o lo prenderà in affitto. Un po’ come per gli esseri umani: non ne esistono due uguali e ciascuno è il risultato dei propri incontri. Quando entro per la prima volta in un appartamento mi sento parte di quello spazio rinchiuso tra le pareti, che sento vive sotto le mie mani , percependo e immaginando l’energia di chi lo abiterà. In questo modo mi sembra di vivere altre vite oltre la mia, forse migliori, più fortunate o semplicemente altre vite.

  • Vogliamo parlare della scorsa settimana che sembravi ubriaca perché’ eri imbottita di farmaci? Oppure di due giorni fa che hai disdetto un appuntamento ad un cliente soltanto dieci minuti prima? Vendiamo appartamenti, non noccioline. Vendiamo sogni ,che sia una prima casa per una coppia o l’ultima nella quale trascorrere la vecchiaia. La gente si aspetta da noi almeno un minimo di puntualità e correttezza, non credi?
  • Vogliamo parlare del fatto che quindici anni fa ti ho parato il fondoschiena e che mai mi sarei immaginata di vendere “sogni” insieme a te visto che avevo ben altri progetti?

Sta iniziando a toccarsi il nodo della cravatta e controllare ogni tre secondi il cell.
Mi parla senza guardarmi.

  • Mi stai dicendo che devo esserti riconoscente a vita per aver lavorato con me e per averti fatto guadagnare?
  • No, ma per aver pregato mio padre e poi mio fratello di convincermi a buttarmi con te in quest’avventura quando invece ero in procinto di partire per Bologna. Non ti saresti mai fidato di un’estranea o di qualcuno che non conosci come le tue tasche.” Giusto il tempo di trovare una persona affidabile”, mi dicesti. Un tempo che si è un po’ dilatato, non trovi? Gli arriva una telefonata ed il suo sollievo è tale da fargli cambiare colore del viso.
  • - Scusami Teresa ,possiamo continuare la nostra conversazione più tardi? E’ una telefonata importante

Mi parte l’embolo. Decido finalmente di non rivolgere la mia rabbia contro me stessa ma contro questo fantoccio in abito grigio , profumato come una donnina di dubbia reputazione, le cui mani curate non hanno mai conosciuto il peso, o la soddisfazione, di una fatica.

Mi alzo in piedi e gli sfilo il telefono dalle mani, in modo dolce ma deciso. Fabrizio mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Cerca una risposta nei miei occhi dove però incontra soltanto altre domande.

  • Tu ora mi ascolti – dico chiudendo la conversazione sul suo cell
  • - Fra due minuti aprirò quella porta e non mi vedrai mai più. Potrai essere finalmente soddisfatto e sereno nel non avere più gente sofferente e poco affidabile tra i piedi, ma ricorda :amo questo lavoro più di me stessa. Si ho un problema, una patologia invalidante che non mi permette più d’essere chi sono sempre stata, ma…
  • - Perché tu un mal di testa lo chiami “patologia”? – M’interrompe mostrandomi quel sorrisetto che non ho mai odiato più di ora. Rovisto qualche secondo nella mia mente alla ricerca dell’insulto più appropriato e tagliente e invece riesco soltanto a pronunciare :’’ Addio Fabrizio’’. Gli ho appena voltato le spalle ma lui: ‘’Teresa, scusa’’. Penso esista un po’ di giustizia a questo mondo. Sapevo che non mi avrebbe lasciata andare via. Mi volto lentamente, per metà ferita dalle sue parole ma felice che forse se ne sia reso conto:’’ Teresa, le chiavi’’. Credo di non aver mai provato tanta delusione e di non aver mai trasmesso una tale amarezza attraverso il mio volto .Leggo una vaga paura nei suoi occhi. Cerco furiosamente le chiavi che hanno deciso di giocare a nascondino nella mia borsa, le afferro e le scaravento a terra. In questo preciso istante rientrano in ufficio i miei colleghi Francesco ed Eleonora, di ritorno da un appuntamento. Stavano ridendo di gusto ma il mio gesto smorza i loro sorrisi, come un’improvvisa folata di vento che spegne la fiamma di una candela. ‘’Ciao ragazzi, e’ tutto vostro il signorino’’. Mi guardano come se non fossi umana. Mi dirigo decisa verso l’uscita. Il mio passo è svelto ma mi sembra di non arrivare mai. Quindici anni difficili ma i migliori ,senza dubbio, mi scorrono davanti dandomi l’illusione di poterli afferrare; raggiungo la maniglia della porta e toccandola li vedo scivolare via, definitivamente. Mi ritrovo catapultata nel caos cittadino, fra questi palazzi che conosco in ogni dettaglio ma che ora mi sono estranei, come tutto in questo momento. Torno a casa a piedi ,l’auto verrò a prenderla più tardi. L’unica cosa che voglio guidare in questo momento sono le mie gambe. Voglio sentirmi padrona del mio corpo e non soltanto subirne le sofferenze. Non voglio sia un motore a condurmi a destinazione ma quel che resta della mia forza. Mi sembra di non camminare da anni e invece lo faccio ogni giorno, come ho l’impressione di vedere alcune cose per la prima volta. Non ho mai percorso questa strada a quest’ora a piedi, non mi ero accorta che in questo angolo ci fosse un piccolo panificio; il locale è leggermente più basso del livello strada, il profumo che ne proviene è generosamente distribuito ad un bel pezzo di quartiere. Entro e mi accorgo ancor di più di quanto sia minuscolo. Dietro al bancone mi accoglie una donna piccina ma con un gran sorriso: ’’ Buongiorno cara ‘’ sembra conoscermi. Sta adagiando dei cornetti appena sfornati su di un vassoio.
  • Ne prendo uno grazie
  • Metto in un sacchetto?
  • Si, grazie

Porgendomi il cornetto mi sorride e resta per un paio di secondi a fissarmi. Mi trasmette una strana energia, l’odore di buono sembra provenire dalla sua persona e non dai prodotti in vendita.

  • È sempre a dieta?
  • Prego? Ci conosciamo? - Le chiedo sorpresa
  • È venuta a vedere casa mia, proprio qui alle spalle. Non riesco a ricambiare il sorriso, un po’ perché’ sta facendo riferimento ad un lavoro che oramai non ho più ed un po’ perché’ casa sua non la ricordo proprio.
  • Come ,non ricorda? Quella casa con il giardino, all’inizio della strada! Con lei c’era un giovane un po’…come dire…
  • Pieno di se, signora ,lo può dire
  • Eh, infatti! Il suo lavoro lo conosceva bene per carità, ma non mi faceva parlare!
  • E poi cosa ha fatto, l’ha venduta?
  • No macché! Vorremmo, ma in questo periodo non si vende niente
  • Lo vuole un consiglio signora? Appartamenti con il giardino in questa zona non esistono, non lo venda, lei possiede una rarità. Ma perché’ mi ha chiesto della dieta?
  • Perché’ quando venne a casa mia le offrii dei bomboloni caldi e disse che non mangiava frumento. Dev’essere stata una delle innumerevoli diete che ho seguito per il mal di testa. Ho seguito la dieta senza glutine, senza caseina, senza carne, senza pesce, senza farine, senza zuccheri. La mia vita la si potrebbe definire SENZA, perché’ mi è sempre mancato qualcosa. La meravigliosa, e alquanto rara lo riconosco, sensazione di completezza non ha mai bussato alla mia porta. È davvero strano che non ricordi questa donna e tantomeno casa sua. Ricordo ancora il mio primo incarico. Era un’abitazione a pian terreno, non più grande di venticinque metri quadri totali, con un bagno minuscolo che comprendeva una doccia ricavata in un sottoscala. Invendibile fino a quel momento. Quando andai a vederla eravamo soli io ed il proprietario, un simpatico e vispo vecchietto che in quell’abitazione aveva vissuto, a suo dire, gli anni più belli della sua vita; entrandovi ,tutti quegli anni mi travolsero attraverso quel vuoto che soltanto le famiglie che sono state felici sanno lasciare. In quel momento compresi che la dignità e la bellezza di un immobile ,oltre ad essere un concetto soggettivo, sono legati all’energia di chi quel luogo lo ha amato . E’ inutile, le tracce dell’amore provato e di quello ricevuto sono una scia ,un alone che ci portiamo dietro e quando quella scia è assente e quell’alone vuoto ne si percepisce chiaramente l’assenza. Non riesco a credere d’aver dimenticato di aver visto l’appartamento di questa donna che sa di buono e che ora mi osserva con un affetto immotivato.
  • Vende ancora appartamenti?
  • No, da oggi non li vendo più
  • Uuuuhhhhh, mi dispiace ,ma una ragazza in gamba come lei un altro lavoro lo trova, stia serena. E poi sa che le dico? Che non ci azzeccava proprio niente a lavorare con quello là!
  • Signora, con quello là ci ho lavorato per quindici anni, io soltanto case so vendere e mo’ che faccio?
  • Niente, prendi un bel respiro e non fai niente. Solo ascoltandosi si trova la propria strada. Pure la panettiera filosofa mi doveva capitare! questa giornata inizia ad essere un po’ troppo ricca.
  • Arrivederci signora
  • Ciao cara. Mi sento molto meno agitata rispetto a mezz’ora fa. Mi siedo su di una panchina , proprio qui davanti c’è una piccola piazzetta con delle aiuole piene di fiori. Siamo all’inizio di Giugno, ho sempre amato questo periodo dell’anno. Fra un po’ è il mio compleanno, che bel regalo mi ha fatto il signorino! Tutto intorno a me è movimento, è vita, facendomi sentire esclusa ed in qualche modo invisibile, esattamente come tutti coloro che soffrono di emicrania. La non comprensione è la peggiore delle sofferenze. In cielo ci sono delle piccole nuvole dalle forme strane che però non impediscono ai raggi luminosi di arrivare a me. Mi piacerebbe vivere, ma non ne ho il coraggio. Se avessi preso quel treno tanti anni fa, ora non sarei qui. O forse si. Il treno sarà sicuramente partito ma, certamente, la stazione è ancora lì. Devo decidermi a smetterla di ricordare ogni giorno, ogni ora, ogni istante tutto quello che gli altri hanno dimenticato. Devo smetterla di sentirmi colpevole, inadeguata. Devo smetterla di vagare nella mia mente alla ricerca di una risposta che non esiste. Devo smetterla di crederci troppo o non crederci affatto. Gli eccessi conducono ad inevitabili delusioni. Devo smetterla di non guardare dove dovrei, d’aver paura di scoprire chi sono e di ammettere che tutto questo, forse, mi è capitato proprio per questo scopo. L’universo ci comunica parlando e se non ascoltiamo lo fa urlando. Devo smetterla d’aver paura perché’ è dal mio coraggio che dipende la mia rinascita. Decido che i fiori che mi circondano siano troppo colorati e profumati, dunque non in sintonia con il mio stato d’animo. Mi alzo dalla panchina e m’incammino verso casa. Metto le cuffie ed il mio solito mix su youtube. “Io vivo come te ,col mio lavoro in gola, mentre qualcuno se ne va pensando un’altra storia” mi dice Pino con la sua voce sottile e familiare. Inizio a pensare sia giusto così. Ognuno dona a questo mondo quello di cui è capace e se in questo momento la mia fragilità non risponde esattamente alle aspettative che questa societa’ ha su di me, va bene lo stesso ,mi fermo. Cerco di concentrarmi su due occhietti azzurri che fra un po’ escono da scuola ed a questo pensiero non posso fare a meno di sorridere. E’ proprio da questo sorriso che voglio ripartire. “Ma il mio sole nascerà dove cammini tu” continua a sussurrarmi Pino, ed io voglio crederci che da questi passi affranti possa nascere qualcosa di buono.