Tra le terapie non farmacologiche più utilizzate nelle patologie neurologiche, un ruolo di primo piano è rivestito dall’attività fisica. Può sembrare assurdo, ma muovere i propri muscoli ed avere un corpo in forma può essere un fattore non indifferente per garantirsi un corretto funzionamento cerebrale. Il perché è presto detto: i muscoli non sono semplicemente un tessuto preposto a contrarsi ed allungarsi, ma un vero e proprio organo endocrino che secerne innumerevoli molecole aventi funzione antinfiammatoria, analgesica, antidepressiva e neurotrofica (di nutrimento per i neuroni), promuovendo la neurogenesi (rigenerazione del tessuto neuronale) e migliorando l’afflusso di sangue al cervello. Quindi, i nostri muscoli possono davvero essere un’arma segreta per contrastare innumerevoli patologie neurologiche. Ciò è riconosciuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che promuove l’attività fisica come strumento di mantenimento del benessere e prevenzione delle malattie. Andiamo a vedere più in dettaglio quale può essere il ruolo dei muscoli in diverse patologie aventi a che fare con il nostro cervello.
Innanzitutto, la sedentarietà propria della vita moderna sembra svolgere un ruolo negativo sul benessere non solo fisico, ma anche mentale e neurologico delle persone. Alcuni Paesi che negli ultimi anni si sono affrancati da condizioni economiche sfavorevoli e che hanno acquistato i nostri stili di vita sedentari (lavoro impiegatizio e uso di mezzi di locomozione per gli spostamenti) hanno visto accrescere il numero di casi di malattie neurodegenerative e psichiatriche.
Più in dettaglio, sono state redatte specifiche linee guida per il movimento e l’attività fisica per i pazienti affetti da malattia d’Alzheimer e di Parkinson. Addirittura, per l’Alzheimer si può arrivare a dire che l’attività fisica sia una delle terapie più efficaci attualmente a disposizione per prevenire il rischio di sviluppare la malattia, per rallentarne la progressione, per contenerne i sintomi cognitivi e per ridurre la sindrome psicoorganica propria delle fasi più avanzate della malattia. Tale effetto sarebbe dovuto in massima parte agli effetti delle molecole prodotte proprio dai muscoli e che vanno a stimolare il cervello (sostanze neurotrofiche ed endorfine). Nella malattia di Parkinson, oltre all’effetto neuroprotettivo già descritto per l’Alzheimer, c’è pure un’azione specifica dell’attività fisica sul sistema motorio (preferenzialmente afflitto nel caso di questa malattia) e sui muscoli (che negli anziani più facilmente vanno incontro ad atrofia in caso di ridotta mobilità).
Anche nella sclerosi multipla, una patologia infiammatoria che nelle forme più severe può avere un andamento cronico neurodegenerativo, l’attività fisica ha mostrato di esercitare un effetto protettivo nei confronti della disabilità motoria da essa determinata e, verosimilmente, nella riduzione delle fasi di riacutizzazione della malattia, proprio per l’attività antinfiammatoria e neuroprotettiva che il muscolo, se allenato, può esercitare.
Un effetto analogo a quello suddetto lo si può osservare anche riguardo all’ictus ischemico. Addirittura, in tal caso, l’attività fisica svolge un ruolo protettivo a livello globale:
- può funzionare come prevenzione dell’evento ischemico, sia in forma primaria (chi fa attività fisica avrà meno rischi di sviluppare un primo ictus, perché riduce molti dei fattori di rischio cardiovascolare) che secondaria (chi ha già avuto un ictus e fa attività fisica, comunque riduce il rischio di averne altri);
- può limitare l’entità del danno ischemico in virtù della maggiore neuroprotezione propria del cervello di persone ben allenate;
- può agevolare i tempi di recupero e riabilitazione, migliorando i punteggi di autonomia del paziente;
- può infine agire come fattore protettivo sullo stato emotivo del paziente, che in caso di depressione avrà un esito peggiore della patologia.
Anche per le paralisi cerebrali, spesso conseguenti ad ipossie da parto, si è messo in luce un ruolo protettivo dell’attività fisica nei confronti della disabilità e delle complicanze.
Infine, l’attività fisica è in grado di contenere i sintomi di diverse patologie psichiatriche, dalla depressione all’ansia, dalla schizofrenia all’autismo. Ciò è molto utile per limitare il desiderio di chiusura e inattività dei pazienti psichiatrici, spesso e volentieri parte esso stesso del corteo dei sintomi del disturbo. Quindi, in tal caso l’attività fisica svolgerebbe un compito sia riabilitativo di tipo comportamentale, sia terapeutico, promuovendo la sintesi di neurotrasmettitori e la plasticità neuronale.
Sebbene non si tratti di una malattia, bensì di un sintomo, anche il dolore può essere migliorato da un corretto esercizio fisico operato con costanza. Ciò vale per tutti i tipi di dolore, come il mal di schiena cronico, l’osteoartirite, l’artrite reumatoide e la fibromialgia. Sicuramente, il meccanismo antinfiammatorio e analgesico delle molecole rilasciate dal muscolo possono dare un grosso aiuto nel contrastare questo sintomo, mentre l’aumentata elasticità muscolare può ridurre una componente importante di amplificazione del dolore stesso.
Ma se parliamo di beneficio dell’esercizio fisico nelle malattie neurologiche e nel dolore, non possiamo non parlare del ruolo dell’esercizio nell’emicrania, da molti pazienti ritenuta essere una condizione nella quale meno ci si muove e meglio si sta.
Ma è realmente così?
In realtà, negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi, molto ben condotti, che hanno valutato assai positivamente il ruolo dell’esercizio fisico (principalmente l’aerobico, meglio se ad alta intensità) nei pazienti emicranici, mostrando una riduzione di frequenza, intensità e durata degli attacchi, arrivando a giudicarlo tanto efficace quanto le terapie di profilassi farmacologiche, incluso il topiramato (ad oggi considerato tra i farmaci più efficaci, ma meno tollerati dai pazienti). Pertanto, molti studiosi sono concordi nell’inserire l’attività fisica in cima alla lista dei cambiamenti di stile di vita da proporre ai pazienti emicranici, evidenziando come essa possa integrarsi alla perfezione con ogni tipo di terapia di profilassi (limitandone talvolta anche gli effetti collaterali), o sostituirsi ad essa in casi specifici. Inoltre, protocolli mirati possono esser rivolti a quei pazienti aventi specifici dolori osteomuscolari, principalmente all’articolazione temporomandibolare, al collo o alle spalle, mentre lo yoga potrebbe essere efficace per coloro che non tollerano l’esercizio ad alta intensità e necessitino di un approccio più dolce.
I perché di questo beneficio sono legati ai ruoli biologici ricordati prima di plasticità neuronale, azione antinfiammatoria, migliore vascolarizzazione, mitocondriogenesi (moltiplicazione degli organuli cellulari preposti alla produzione di energia, di cui i neuroni dei soggetti emicranici sono spesso carenti), oltre che ai benefici sulla secrezione degli ormoni dello stress (in primis il cortisolo) e sul miglioramento degli aspetti psicologici correlati all’emicrania e che spesso la fanno peggiorare. Infine, non bisogna sottovalutare il ruolo di contrasto che l’esercizio fisico, assieme alla dieta, può esercitare sulla cosiddetta sindrome metabolica, condizione assai comune tra i soggetti emicranici ed agevolante la cronicizzazione della cefalea.
In conclusione, l’esercizio fisico, se opportunamente supervisionato, modulato e calibrato sul singolo paziente può essere un valido aiuto per contrastare le patologie neurologiche e tra esse le cefalee. Occorre promuovere tra i pazienti l’idea che muoversi faccia bene e mettere in atto ogni strategia volta a migliorare la compliance dei pazienti e l’aderenza all’allenamento regolare, ricordando però loro di non ecceder nell’altro verso, perché un eccesso di attività fisica o un’attività mal svolta potrebbero avere effetti deleteri sulla salute.