Gli alcolici e il mal di testa
Sono molte le leggende legate alla nascita e diffusione delle bevande alcoliche, la cui preparazione, sebbene in forme diverse, è diffusa in tutto il mondo. Il tratto comune è la fermentazione di un liquido zuccherino, estratto dal latte (come il kefir), dalla frutta (come il vino, l’acquavite o il sidro) o i suoi scarti di lavorazione (come la grappa), dal miele (come l’idromele), dai cereali (come la birra, i whisky, e il sakè) o dai tuberi (come la vodka). Una cosa è però certa: tali bevande incontrano grande successo in buona parte del pianeta, verosimilmente più per le loro qualità psicotrope (la capacità di far perdere il controllo, inducendo uno stato di ebbrezza) che non quelle salutistiche. A dirla tutta, di salutistico l’ingestione di alcool non ha proprio nulla. Infatti, il suo consumo è classificato fin dal 1988 come a rischio cancerogeno dallo IARC (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), collocandolo nel Gruppo 1, cioè quello in cui sono incluse le sostanze con dimostrata capacità di influenzare l’insorgenza dei tumori. Anche le presunte doti termogeniche che consentirebbero di migliorare la sopravvivenza al freddo sono in realtà sementite dai fatti: nel medio periodo l’alcool porta a disperdere la temperatura corporea a causa del suo effetto vasodilatatorio, agevolando così i processi di assideramento. Infine, arriva tombale la definizione della OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) che classifica l’alcool tra le droghe, causa di una dipendenza il cui grado è superiore rispetto alle altre sostanze più conosciute. Insomma, per dirla con la rivista The Lancet (in una metanalisi realizzata per il Global Burden of Disease Study), non esistono soglie di consumo di alcool considerate non potenzialmente nocive per la salute. Eppure, gli alcolici sono molto diffusi. Il loro consumo inizia, purtroppo, fin dalla più giovane età ed entro certi limiti sono considerati parte del nostro patrimonio culturale / alimentare e come tali la politica in varie parti del mondo ne norma e tutela la produzione. A onor del vero, sembrerebbe che un modico consumo di vino (in particolar modo, rosso) e birra possa esercitare effetti protettivi sul sistema cardiovascolare, ma il modico consumo si esaurisce entro la soglia di 12 gr di etanolo, la cosiddetta unità alcolica (pari all’alcol contenuto in un bicchiere di vino rosso o un boccale di birra media), quantità di alcool che comunque richiede all’organismo una o due ore per essere smaltita e che intanto potrebbe indurre danni in altri organi e apparati (come fegato, reni e cervello), oltre al già succitato rischio tumorale. Ma veniamo al mal di testa, perché mai una bevanda alcolica dovrebbe favorire l’insorgenza di mal di testa? I motivi sono molteplici e in parte non tutti adeguatamente studiati. Per iniziare, ci potrebbe essere un effetto diretto dell’alcool come detonatore del mal di testa, almeno questo è ciò che si osserva nella cefalea a grappolo, in cui spesso l’attacco segue di massimo 2-3 ore l’ingestione di una bevanda alcolica, qualunque essa sia, probabilmente per un meccanismo di interferenza neurotrasmettitoriale (i metaboliti dell’alcool interferiscono con il sistema GABAergico, glutammatergico, dopaminergico e opiatergico). Un altro effetto che l’alcool può esercitare sull’organismo e, indirettamente, potrebbe influire sulla genesi di un mal di testa è la disidratazione. Si sa, infatti, che l’alcool ha la capacità di indurre uno stato di disidratazione, oltre ad alterare l’omeostasi elettrolitica, e tale condizione potrebbe essere alla base dello scatenamento, per esempio, delle crisi emicraniche (che si sa, sono sensibili tanto alla disidratazione, quanto ad un alterato equilibrio elettrolitico). Inoltre, l’alcool è un efficientissimo solvente per le sostanze apolari, molte delle quali vengono assorbite con maggior efficienza dall’organismo se disciolte in soluzione alcolica. È il caso, ad esempio, dell’istamina, sottoprodotto della fermentazione alcolica e potentissimo trigger emicranico. I soggetti emicranici sembrerebbero essere molto sensibili all’istamina perché molti di essi sono carenti dell’enzima intestinale preposto alla sua degradazione, la diaminossidasi (DAO). I vini rossi a lungo invecchiamento, soprattutto se affinati in botte, sono spesso ricchi di istamina e la presenza dell’alcool ne facilita l’assorbimento, mentre l’organismo non riesce a disfarsene efficientemente. Anche la birra è spesso ricca di istamina, oltre a contenere glutine e carboidrati che in soggetti particolarmente predisposti possono indurre lo scatenamento della crisi di cefalea. Sempre i vini, in particolar modo quelli bianchi possono essere ricchi di solfiti. Tali sostanze sono prodotte direttamente dalla fermentazione dell’uva (i cosiddetti solfiti naturali), ma generalmente in bassa quantità (circa 10 mg/l, soglia sotto la quale non vanno dichiarati in etichetta), mentre possono essere additivati per mezzo dell’aggiunta di anidride solforosa al fine di conservare meglio i vini, soprattutto i bianchi dolci, i passiti e i muffiti. I vini biologici spesso non hanno solfiti aggiunti e comunque ne hanno quantità minori. Proprio per questo sono i preferiti dai soggetti emicranici, anche se non è chiaro il ruolo che tali sostanze esercitino sulla cefalea. Infatti, pare che solo i solfiti presenti nei vini inducano cefalea, mentre ciò non accade con l’ingestione di quantitativi maggiori provenienti da altri alimenti, probabilmente perché è l’interazione alcool – solfiti a fungere da fattore scatenante. Per i vini rossi, oltre all’istamina, un ruolo scatenante può poi essere esercitato dai tannini, meno abbondanti in quelli più leggeri. Attenzione, infine, ai distillati affinati in botte o torbati, anch’essi possono avere disciolte molecole in grado d’essere assorbite con maggior facilità se in soluzione alcolica ed innescare al crisi di mal di testa. Insomma, se proprio volete, bevete leggero, biologico e con moderazione.
A cura della Dott.ssa Eleonora Di Pietro,
Biologa nutrizionista - Associazione Eupraxia