Dott.ssa Allena, oggi vorremmo parlare di una malattia frequente di cui si sa ancora poco: l’emicrania.

L’emicrania è una patologia cronica altamente invalidante e diffusa. Ne soffre, infatti, quasi il 12% della popolazione mondiale, con una netta predilezione per il sesso femminile. Il Global Burden of Disease del 2016 l’ha collocata al primo posto tra le malattie che causano disabilità nella popolazione di età inferiore ai 50 anni, con un impatto personale e socio-economico devastante in termini di costi sanitari e ridotta produttività. Tuttavia, è proprio vero, l’emicrania rimane ancora una malattia misconosciuta e non adeguatamente trattata, a dispetto di una disabilità tanto grave e di costi così imponenti.

 

L’emicrania si può curare?

Secondo studi recenti, circa il 40% dei pazienti con emicrania può trarre beneficio non solo dalla terapia sintomatica (o acuta), che viene utilizzata per la gestione dell’attacco doloroso, ma anche da una terapia di prevenzione.

 

Quali sono i fattori che limitano l’efficacia di queste terapie?

Purtroppo, molti dei farmaci impiegati, ad oggi, per la prevenzione dell’emicrania, tra cui antidepressivi, antiepilettici e betabloccanti, sono stati “presi in prestito”. La loro indicazione iniziale, infatti, era per altre condizioni cliniche ed è stata individuata, talvolta in modo casuale, una loro efficacia nella prevenzione dell’emicrania. Molto spesso, poi, la scelta della terapia è influenzata dalla presenza di comorbidità (se è presente uno scarso controllo pressorio o una franca ipertensione somministro il beta-bloccante, se c’è una storia di depressione preferisco l’antidepressivo, etc.).

 

Questo cosa significa?

Significa che il rapporto rischio/beneficio per questi farmaci, non essendo stati sviluppati per la patologia emicranica, non è ottimale. Purtroppo, infatti, lo scenario da cui proveniamo è quello di terapie con efficacia anche discreta, ma molti effetti collaterali, che sono poi le due principali motivazioni di interruzione della terapia da parte del paziente, evento assai frequente. È per questo che c’era e c’è urgenza di sviluppare nuove molecole, nuovi farmaci, che siano specifici per il trattamento per l’emicrania.

 

Cosa c’è di nuovo?

Il trattamento farmacologico dell’emicrania, in linea con studi di ricerca che hanno permesso una migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici e biomolecolari, è andato incontro ad un’autentica rivoluzione. Possiamo dire che per chi soffre di emicrania sta per iniziare una nuova era: quella degli anticorpi monoclonali, il cui bersaglio è il CGRP,ovvero il peptide correlato al gene della calcitonina che svolge un ruolo cruciale nella mediazione del dolore.

 

Ci racconti dottoressa, che cosa è e che ruolo svolge il CGRP?

Da diversi anni sappiamo che un piccolo neuropeptide, il CGRP appunto, prodotto e liberato dalle terminazioni nervose centrali e periferiche trigeminali, può avere un ruolo primario nella genesi del dolore emicranico. Il CGRP, oltre ad avere un effetto vasodilatatore, è coinvolto nella trasmissione dei segnali dolorosi durante gli attacchi di emicrania. In particolare, i livelli di CGRP aumentano in concomitanza delle crisi e tornano alla normalità quando l’attacco si risolve. L’infusione, inoltre, di CGRP nei soggetti con una storia di emicrania può indurre e scatenare gli attacchi dolorosi. Da queste conoscenze hanno preso avvio studi che nel corso di 3 decadi hanno portato alla messa a punto di molecole capaci di interagire con il CGRP, bloccandone l’azione.

 

Come agiscono gli anticorpi anti-CGRP?

Si tratta di Anticorpi Monoclonali, derivati principalmente o interamente da cellule umane, progettati per bloccare il recettore del peptide correlato al gene della calcitonina o il CGRP stesso, impedendo quindi l’innesco della crisi.

 

Ma funzionano?

Gli anticorpi anti-CGRP costituiscono una nuova classe terapeutica in grado di prevenire gli attacchi dolorosi emicranici. I dati desunti dagli studi registrativi sono estremamente promettenti. I pazienti, infatti, riportano una costante e sostenuta riduzione della gravità di malattia. Inoltre, in molti casi (circa la metà dei soggetti), si è riscontrata una riduzione di almeno il 50% dei giorni mensili di emicrania. L’efficacia clinica (ovvero la riduzione dei giorni di cefalea) si vede sin dalla prima somministrazione del trattamento. Si tratta, inoltre, altro aspetto importante, di farmaci ben tollerati con scarsi o quasi nulli effetti collaterali.
Pertanto, gli anti-CGRP, per l’efficacia, la tollerabilità ed il profilo di sicurezza, lasciano intravedere nuove prospettive nella terapia di prevenzione dell’emicrania episodica e cronica. Siamo di fronte, quindi, ad una vera e propria svolta epocale.

 

Sono già disponibili questi nuovi farmaci?

A dicembre 2018 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’approvazione per l’utilizzo clinico di erenumab (Aimovig), il primo e unico fra anticorpi monoclonali che agisca bloccando il recettore del CGRP, nella prevenzione dell’emicrania. La sua somministrazione avviene con iniezione sottocutanea ogni 28 giorni. A questo, si sono aggiunti nei mesi successivi galcanezumab (Emgality) e fremanezumab (Ajovy), entrambi diretti contro il peptide, che vanno assunti per via sottocutanea ogni mese il primo, oppure mensilmente o trimestralmente il secondo. Un quarto anticorpo monoclonale, non ancora disponibile in Italia, è l’eptinezumab, l’unico che andrà somministrato per via endovenosa ogni 3 mesi.
Molti Centri Cefalee in Italia hanno iniziato a trattare pazienti tramite campionatura del farmaco, dopo accordi tra Farmacie delle Aziende Ospedaliere e le Aziende produttrici, in attesa di conoscere i criteri di prescrivibilità e la data in cui sarà possibile avviare il trattamento con rimborsabilità da parte del Sistema Sanitario Nazionale.

 

Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi?

Tutti gli studi finora condotti con gli anticorpi monoclonali anti-CGRP hanno dimostrato piena sicurezza di impiego e tollerabilità sovrapponibile a quella del placebo. Sono, quindi, ora necessari studi di real life, ovvero di pratica clinica quotidiana per individuare i criteri di un loro impiego ottimale. Rimangono, infatti, ancora alcune domande senza risposta o con risposte parziali sul loro corretto utilizzo: quali pazienti sono candidabili al trattamento? Per quanto tempo deve durare il trattamento? Come comportarsi in caso di gravidanza e allattamento? Come gestire le altre terapie preventive in caso di terapia con anticorpi monoclonali? Se un paziente non ha risposto ad un anticorpo monoclonale si può pensare di proporre un altro tipo?

 

Questi farmaci sono costosi?

Sì, hanno un limite di spesa non indifferente. Si tratta di farmaci costosi, con un impatto non trascurabile sul bilancio del sistema sanitario nazionale. Il ruolo, anche da un punto di vista economico, degli anticorpi anti-CGRP potrà essere chiarito e definito solo da ulteriori studi volti a valutarne il costo/beneficio. Ricordiamoci che in Italia il costo annuale legato alla perdita di produttività per emicrania in pazienti con 4 o più giorni di emicrania al mese può superare i 7 miliardi di euro. Quindi, un miglioramento di salute del paziente emicranico può senz’altro avere risvolti positivi anche sulla riduzione di tali costi.

 

Intervista a cura di Roberto Nappi