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Notizie ed Eventi

La cura del paziente con cefalea tra barriere organizzative e qualità della vita: le strategie innovative della Regione Calabria

08 Marzo 2024

Scarica il programma del convengno

Guarda un estratto del convegno

 

Modalità integrata e coordinata di presa in cura dei pazienti con cefalea primaria cronica in Regione Lombardia

06 Marzo 2024

Leggi la Deliberazione

 

Presa in carico del Paziente con Cefalea Cronica: qualcosa si muove

22 Gennaio 2024

La fine del 2023 e l'inizio del 2024 hanno portato novità sul fronte a noi tanto caro della Presa in carico del Paziente con Cefalea Cronica dopo la Legge Nazionale 81 del 2020 e il Decreto Legge sulla Sperimentazione dei progetti regionali pubblicato in G.U. il 19 luglio 2023. Le Regioni Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Calabria si sono infatti mosse presentando i rispettivi progetti.
Maggiori informazioni sono reperibili ai seguenti link presenti anche nella nostra rassegna stampa e web:

Regione Veneto

Regione Emilia-Romagna

Regione Marche

Regione Calabria

Nuovo numero di Cefalee Today n.137 disponibile

15 Gennaio 2024

E' disponibile il nuovo numero 137 di Cefalee Today del mese di Dicembre

Leggi il sommario dei contenuti

Editoriale - Cefalee Today n.137

15 Gennaio 2024

Buon anno, amiche e amici, spero le feste siano passate bene e senza troppi mal di testa, sebbene generalmente i giorni a cavallo tra il Natale e l’Epifania siano sempre un momento critico per noi cefalalgici: tra stravolgimento degli orari abituali, pasti abbondanti, eccessi alcolici e di dolci, oltre a stress familiari di vario ordine e grado, è sempre un momento in cui più facilmente il mal di testa viene a farci visita. Almeno il clima ha tenuto, fin ora, ma si preannunciano crolli della colonnina di mercurio nel prossimo trimestre, cosa che spesso si associa a un peggioramento della frequenza e intensità delle crisi di cefalea.
Si è chiuso un anno importante nel mondo delle cefalee, grazie all’autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci antiemicranici e all’uscita dei tanto attesi decreti attuativi della legge 81/2020 sulla cefalea cronica primaria come malattia sociale, se ne apre uno nuovo altrettanto interessante. Infatti, per ora sono stati solo presentati negli ultimi giorni dell’anno i 2 progetti regionali per la gestione delle cefalee: il Progetto “Innovazione dell’assistenza alla persona affetta da cefalea primaria cronica in Emilia-Romagna (INNOVA-ER-CEF)” e i “Cronic Migraine Care” della Regione Calabria.
Ciò significa che nel 2024 dovranno esser presentati tutti gli altri progetti assistenziali, con possibilità di fare finalmente consulti di controllo on line e avere percorsi dedicati per lo svezzamento dall’uso eccessivo di analgesici e per l’accesso ai farmaci innovativi. Già, i farmaci innovativi: sono l’altro punto di svolta che si dovrebbe segnare quest’anno. Nel numero precedente festeggiavamo la rimborsabilità dell’eptinezumab (l’anticorpo endovena) e auspicavamo di ricevere finalmente a breva pure una notizia analoga per i gepanti (già in commercio, ma non rimborsati dal SSN).
Purtroppo, pure in questo trimestre non è cambiato nulla: le Regioni ancora non hanno fatto i bandi di gara, per cui il nuovo tanto atteso anticorpo non è ancora disponibile a carico del sistema sanitario nella massima parte del Paese, e dall’AIFA non trapelano informazioni su quando si otterrà la rimborsabilità della nuova classe di farmaci. E dire che, facendo un po’ la faccia tosta, abbiamo pure provato a chiedere informazioni all’Agenzia del farmaco; avevamo pure preparato delle domande le cui risposte avremmo voluto pubblicare su questo numero del nostro giornalino, ma nulla …pur avendo atteso e ritardato l’uscita del numero (di cui ci scusiamo), nessuna risposta. Che dire, pazienza, ci siamo abituati, ma un po’ spiace non riuscire a trovare un canale di comunicazione con le Istituzioni. Scusate il pistolotto (pardon, lo sfogo perché parlare di piccole pistole in questo periodo è fuori luogo), ma era dovuto.
Veniamo ora ai contenuti del nostro nuovo numero.
Iniziamo dall’interessante intervista del nostro Roberto Nappi al prof. Francesco Gazzillo del Dipartimento di Psicologia Dinamica, Clinica e Salute, “Sapienza” Università di Roma. Si tratta di uno specialista del disturbo da stress post traumatico, il cui ruolo centrale nella cronicizzazione e farmacoresistenza della cefalea è ormai noto e ben dettagliato. La scelta di trattare questo argomento è scaturita non solo dallo studio delle pubblicazioni scientifiche sull’argomento, ma pure dalla lettura di diverse testimonianze che alcune di voi lettrici ci avete fatto sui social relativamente a violenze domestiche e traumi psicologici subiti. È stato un periodo emotivamente complesso lo scorso trimestre a causa di numerosi fatti di cronaca aventi come vittime proprio le donne. Da qui sono scaturite molte considerazioni collettive sullo svilimento del ruolo femminile nella nostra società e spero si possa essere alla vigilia di un cambiamento. Quello delle cefalee è un mondo prevalentemente femminile, sia per la prevalenza di questo sesso tra i pazienti, sia perché sempre più donne sono attive nel settore delle cefalee come figure professionali apicali, soprattutto nel nostro Paese. Se da un lato scade il biennio di presidenza della professoressa Tassorelli della IHS, società internazionale delle cefalee, dall’altro la professoressa Marina De Tommaso diventa presidente della SISC, società italiana per lo studio delle cefalee, mentre la professoressa Simona Sacco è diventata direttrice della prestigiosa rivista scientifica Cephalalgia. Insomma, davvero un anno che vede tributare il giusto ruolo alle donne del mondo del mal di testa in Italia. Tanti auguri a Simona e Marina, che spero di poter presto ospitare presto sul nostro giornale.
Cambiando argomento, l’articolo di questo numero è a cura della dottoressa Valeria Gioiosa, una valente collega neurologa però estranea al mondo del mal di testa, o almeno finora, perché grazie a un’opportunità fornita dal provider di contenuti scientifici internazionali Medscape ha avuto modo di fare un’esperienza presso il Centro Cefalee del Mondino di Pavia. L’esperienza le ha aperto la mente e cambiato il punto di vista sulla malattia. Fa riflettere il pezzo perché ci fa capire quanto si ancora lungo il cammino da compiere per le cefalee al fine di farsi riconoscere pari dignità di altre patologie neurologiche, talvolta più di nicchia o meno invalidanti.
Di contro, è davvero meritorio ciò che il Mondino di Pavia fa per disseminare conoscenza e sensibilità nei confronti di questa malattia. È questo che ci si dovrebbe aspettare da un vero Centro per esser definito tale, occuparsi del problema a 360 gradi. Complimenti davvero ai colleghi.
Per la rubrica Amarcord recuperiamo un articolo di esattamente 20 anni fa a firma di Carla Uggetti sull’utilità degli esami neuroradiologici nelle cefalee, un contributo alla campagna contro gli esami inutili. Abbiamo scelto di riproporre questo pezzo perché, dopo la pubblicazione dell’intervista dello scorso numero sulla cefalea nei pronto soccorso e il triste caso di cronica della ragazza morta di meningite, abbiamo ricevuto diverse richieste da parte vostra di chiarimenti in merito. Spero l’articolo vi tranquillizzi e che lo consideriate come un approfondimento e chiusura del tema aperto lo scorso numero.
Infine, per la rubrica “la cefalea in cucina”, nel suo nuovo trafiletto, la dottoressa Eleonora Di Pietro, biologa nutrizionista dell’Associazione Eupraxia, dopo l’interruzione del numero passato per commentare un recente articolo scientifico, riprende con i suoi approfondimenti monografici su spezie e alimenti nel mal di testa. Per restare in tema natalizio, ci parla del cedro, con la cui buccia si producono i canditi che troviamo nei panettoni. Non so se voi li scartiate o no, ma grazie a lei ora so una cosa nuova: questo agrume un po’ dimenticato potrebbe essere d’aiuto contro l’emicrania. Come sempre, spero che gli argomenti siano di vostro gradimento.
Buona lettura e fateci conoscere i vostri commenti.

Dott. Cherubino Di Lorenzo
Direttore Scientifico Cefalee Today

Dolore psicologico e dolore fisico quale correlazione?

15 Gennaio 2024

Spesso in letteratura scientifica viene segnalato che l’eccessiva sensibilità rispetto al dolore fisico nasce da pregresse esposizioni a dolori di tipo psicologico. Qual è la correlazione tra i due?

Direi che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, la distinzione fisico/mentale è ormai piuttosto sfumata.
Sappiamo infatti che le nostre esperienze psichiche, dalla percezione all’attenzione, dal sentimento al pensiero, implicano sempre, a volta in misura più evidente a volte meno, una controparte fisica di tensioni muscolari, movimenti, alterazione del battito cardiaco, del respiro, della sudorazione, degli ormoni in circolo ecc., ragion per cui tutte le esperienze ci coinvolgono per intero, corpo e mente. Così come quasi sempre l’esperienza del dolore meramente fisico è connotata dalla lettura soggettiva che di esso si dà in funzione della propria personalità e della propria storia.
Il Budda, più di duemila anni fa, già parlava di come il dolore del colpo di una freccia fosse quasi sempre complicato dal dolore di una seconda freccia, che è quella dell’interpretazione soggettiva che si dà dell’accaduto e del dolore. Inoltre, sappiamo ormai che il nostro funzionamento mentale, tanto consapevole quanto inconscio, è fondamentalmente orientato all’adattamento alla realtà e plasmato dalle nostre esperienze di vita, soprattutto precoci e “traumatiche”. Ciò implica, tra le altre cose, che esperienze ripetute e protratte di dolore psichico (ammesso che abbia senso questa specifica) sensibilizzano al dolore e creano uno stato generale di allerta che acuisce la sensibilità stessa al dolore e al ripresentarsi di esperienze dolorose. Ma può verificarsi anche il fenomeno opposto, per cui si sviluppa una certa “anestesia” al dolore, anche fisico, che rende le persone più suscettibili a incidenti e meno attente ai segnali sofferenza del corpo. È peraltro interessante notare come spesso il dolore psichico – in particolare quello connesso a esperienze di esclusione da quello che viene vissuto come il proprio gruppo di appartenenza – sembri attivare le stesse aree del cervello coinvolte nell’esperienza del dolore fisico. Alcuni poeti lo hanno già notato, basti pensare al celebre verso di Borges “mi fa male una donna in tutto il corpo”.
A partire da questo dato, credo che possiamo avere anche una prospettiva diversa sul motivo per cui i farmaci, e in particolar modo gli analgesici, spesso diventino oggetto di dipendenza. Il farmaco può essere infatti vissuto come “l’agente che lenisce il dolore”, assumendo così un significato analogo a quello della mamma che toglie la bua al piccolo. E credo sia piuttosto interessante a tal proposito notare come gli oppioidi siano sia analgesici potenti sia i mediatori chimici del sistema cerebrale dell’attaccamento.
Quando una mamma corre ad abbracciare il bambino che, cadendo, si è fatto male e si è spaventato, e quando il medico si occupa del paziente, entrano in gioco gli oppioidi. Ed è risaputo, e forse a questo punto meno oscuro, come l’esperienza di qualcuno che si prende cura di te già di per sé riduca il dolore – fenomeno noto anche in medicina come effetto placebo.

È possibile in età adulta, per chi in infanzia è stato esposto ad abusi o è stato trascurato dai genitori, riconoscere di aver avuto questo problema e porvi in qualche modo rimedio? Se sì, come?

Assolutamente sì. Spesso la ragione per cui i paziente traumatizzati cercano aiuto è per problemi più puntuali, come depressione, ansia, attacchi panico, difficoltà nella regolazione dell’autostima o delle emozioni, difficoltà relazionali o malesseri fisici senza apparenti cause organiche, poi nel corso del trattamento si arriva a comprendere e “ricordare” di aver subito abusi o di essere stati vittima di trascuratezza; a volte a facilitare questa “scoperta” o a far comprendere che ciò che si è vissuto sono episodi di abuso e trascuratezza è l’esperienza di trovare un’altra persona, il clinico, un partner, un amico, che li tratta diversamente. E, in estrema sintesi, direi che due degli elementi chiave per porre rimedio alle conseguenze di queste esperienze sono la possibilità di fare esperienze relazionali di tipo diverso nel contesto di una relazione intima emotivamente rilevante e la possibilità di riconoscere e ricordare quanto accaduto, comprendendo la sua collocazione nel tessuto delle proprie esperienze, le conseguenze che ciò ha esercitato sulla propria vita, riducendo l’intensità delle conseguenze dell’accaduto anche a livello somatico, mitigando il livello di allerta, ansia, depressione e tensione.
Nel corso degli ultimi anni sono state sviluppate tecniche di intervento e interi modelli per la comprensione e il trattamento del trauma che danno centralità al lavoro con e sul corpo: meditazione, yoga, danza, musica vengono oggi usati anche in psicoterapia. Per non parlare dell’EMDR. Le ricerche, però, non segnalano una chiara superiorità dell’efficacia di questi interventi rispetto a quelli mediati prevalentemente dalla parola. E, tutto sommato, la possibilità di vivere relazioni intime positive che permettano di parlare di quanto accaduto e riflettere sulle sue conseguenze in un clima di sicurezza credo resti l’elemento centrale di qualsiasi forma di intervento psicoterapico. D’altra parte, se ci riflettiamo, è il modo in cui le esperienze traumatiche sono state “elaborate” nei millenni. Discorso ugualmente interessante, ma che credo esuli da quanto stiamo dicendo, è quello dell’elaborazione collettiva dei traumi condivisi. Ultimo elemento fondamentale dell’elaborazione dei traumi è aiutare le vittime a superare i vissuti di colpa e vergogna che quasi sempre a essi conseguono in virtù della tendenza della mente, soprattutto nell’infanzia, ad attribuire a se stessi la causa degli eventi negativi che si subiscono.

Oltre ai traumi pregressi, anche l’esposizione acuta o continuativa a situazioni stressanti è spesso descritta dai nostri pazienti come causa del peggioramento/cronicizzazione dei loro mal di testa, è come se il cervello reagisse con il dolore a stimoli fastidiosi, è possibile? Perché succede?
Direi che tra le poche certezze che abbiamo c’è che qualsiasi tipo di esperienze traumatica favorisca l’insorgere o l’ingravescenza del “dolore” e al contempo che non tutte le persone che sono state vittime di “traumi” sviluppano patologie franche. Tanto che oggi siamo tutti d’accordo nel ritenere che a essere patogeno o “salutogeno” sia il particolare incontro tra una persona con le sue peculiarità innate e il tipo di ambiente in cui si sviluppa e vive. Molto affascinante, e ancora lontano dal trovare una soluzione che trovi tutti d’accordo, è il problema di cosa possa essere ritenuto traumatico. Personalmente, credo che la definizione migliore di trauma sia un’esperienza che metta a repentaglio, in modo acuto, sistematico o cronico, il senso di sicurezza di una persona. Ma non abbiamo prove solide a sostegno dell’esistenza di nessi specifici tra trauma x e patologia y. Negli anni Ottanta del Novecento sono state esplorate molto le conseguenze degli abusi sessuali, oggi si tende a dare attenzione a fenomeni come trascuratezza e invalidazione. Ma che un tipo di trauma di per sé sia più rilevante di un altro per lo sviluppo di un certo tipo di problema non abbiamo prove certe. Quello che credo di poter dire è che qualsiasi esperienza che faccia sentire una persona indegna di amore, cura, attenzione e stima, soprattutto se precoce e prolungata, e soprattutto se subita per mano di un caregiver, tenda ad avere effetti negativi profondi su chi la subisce.
Elemento che forse ha lasciato traccia nel linguaggio: è “mortificante”. E si tratta di esperienza “mortificante” tanto per il corpo quanto per la mente. Anche se, per fortuna, non tutti pagano lo stesso prezzo. Più solido è il dato per cui traumi relazionali prolungati vissuti nel corso dello sviluppo per mano di genitori o parenti prossimi tendano ad avere conseguenze, in genere, più stabili e ad ampio spettro di traumi focali vissuti in età adulta. Ma anche questo non è sempre vero – basti pensare alle vite spezzate delle vittime di esperienze estreme subite in età adulta, come quella dell’olocausto.

Oltre al dolore, ci sono altri sintomi fisici che il paziente esposto ad un evento traumatico può provare?

Certo, moltissimi. Oggi si sta studiando molto la fibromialgia, ma pensiamo anche a una ipersensibilità agli stimoli sensoriali in generale, o a stimoli sensoriali specifici, alle conseguenze dolorose e posturali di stati di tensione muscolare cronica, a sintomi pseudo-neurologici (i celebri sintomi “isterici” così diffusi alla fine dell’Ottocento). E sembra che perfino lo sviluppo di patologie oncologiche possa essere facilitato da storie di tipo traumatico. Ancora una volta, non abbiamo dati solidi che indichino una correlazione specifica trauma-sintomo, e forse il perché una persona traumatizzata sviluppi un sintomo x o y diventa più comprensibile se indaghiamo i particolari della sua specifica storia di vita e la “forma” specifica assunta dai loro traumi, oltre che il suo particolare profilo genetico ed epigenetico, ovviamente. Insomma, si è sempre in presenza di determinanti multiple e percorsi patogenetici complessi.

In questi giorni, si parla molto di violenza sulle donne e il fenomeno pare essere di dimensioni molto maggiori a quanto percepito. Tutti noi potenzialmente potremmo avere una conoscente vittima di una qualche forma di violenza. Quali possono essere degli indicatori che possono spingerci a pensare che la nostra conoscente stia vivendo una situazione problematica?

È una domanda davvero difficile, questa. Per vari motivi una donna può essere portata a non parlare di quanto le accade, soprattutto in un rapporto intimo. Per quanto possa sembrare paradossale, spesso le persone vittime di violenza, infatti, tendono a pensare, in modo più o meno consapevole, di non meritare un trattamento migliore, o che il partner (o il genitore) che le tratta così lo fa perché ha egli stesso dei problemi, ragion per cui se solo lei riuscisse a dargli ciò di cui ha bisogno, il tutto si risolverebbe. Spesso le vittime di violenza poi pensano, o sono indotte a pensare, che non potrebbero vivere senza la persona che fa loro violenza, o che non sarebbero in grado di vivere relazioni migliori. E spessissimo pensano che la violenza del partner l’abbiano provocata loro, quindi sia qualcosa di meritato di cui si vergognano.
Insomma, per sapere cosa gli accade davvero è necessario creare una relazione caratterizzata da intimità e fiducia. Inoltre, se di sicuro non è un buon segno il fatto che una persona, iniziata una relazione intima, si isoli dai suoi amici, non racconti mai nei dettagli cosa succede con il partner, sembri spaventata dalla possibilità di dire o fare qualcosa che normalmente avrebbe detto o fatto, non possa mai passare del tempo senza il partner e con altre persone, o appaia molto in difficoltà quando le viene proposto, queste non sono di per sé prove del fatto che subisca violenza. Personalmente, presterei molta attenzione anche alla presenza di violenza nella famiglia di origine della persona e a pregresse relazioni violente. E cercherei di capire se il partner violento fa uso di sostanza, in particolare di alcol, o ha già avuto in passato manifestazioni di violenza e problemi con le forze dell’ordine.

Come potremmo aiutare una persona a noi cara se sospettiamo che possa esser vittima di una violenza psicologica o di un trauma non superato?

Per non dilungarmi troppo, direi: creare un clima intimo e di fiducia, priva di giudizi di stampo morale, in modo che si possa aprire. E poi aiutarla ad accedere a una buona terapia e alle risorse che le istituzioni offrono per proteggersi dalla violenza e denunciarla. Sapendo che si tratta di un percorso lungo, emotivamente e spesso anche concretamente irto di difficoltà. Ma percorribile.

In ultimo, si legge spesso anche del fenomeno della colpevolizzazione secondaria e su questo c’è una gran polemica mediatica: da un lato c’è chi dice che la vittima in qualche modo se l’è andata a cercare esponendosi a situazioni di pericolo e non cogliendo i segnali precoci di un rapporto patologico; dall’altro si parla di soggetti incubi in grado di cercare le proprie vittime tra le persone più fragili. Qual è a suo avviso il giusto modo di inquadrare la questione?

Credo che ogni persona debba essere libera di fare ciò che vuole – sempre che ciò non implichi ledere un’altra persona – senza che debba temere di subire alcuna conseguenza negativa. Detto in modo semplice: se una donna gira nuda per strada, questo non autorizza nessuno a molestarla o farle violenza. Al tempo stesso, però, personalmente non credo che ciò debba esimere un terapeuta dal chiedersi, e dall’esplorare con lei, perché lo faccia, dal momento in cui un comportamento del genere la espone a un pericolo. Porsi una domanda del genere e cercare una risposta, però, non vuole dire esimere neanche in parte il colpevole dalle proprie responsabilità. Da terapeuta aggiungerei anche che sarebbe utile, in sede clinica, mettere da parte atteggiamenti moralistici di qualsiasi tipo per aiutare le persone a comprendersi meglio, e a diventare più pienamente se stesse e più libere.
Sì, non credo che esistano persone che nascono “mostri”, e sono molto a disagio quando si affrontano problemi complessi, soprattutto se di rilevanza sociale, pensando che la soluzione passi per l’individuazione di “cattivi” (siano essi i russi, i palestinesi, gli israeliani o gli uomini eterosessuali bianchi) e “buoni”. È un modo di pensare primitivo e ascientifico che non favorisce alcun progresso reale né nella comprensione né nella soluzione dei fenomeni, ma induce reazioni eccessive e unilaterali che in genere preludono ulteriori reazioni eccessive e unilaterali che vanno in senso opposto.
Inoltre, quando si parla di donne che subiscono violenza nel contesto di una relazione intima stabile, spesso la soluzione del problema necessita di una valutazione delle peculiarità della relazione nel suo complesso, e dei suoi particolari “circoli viziosi”, che coinvolgono entrambi i partner e possono essere tanto dolorosi quanto difficili da modificare. Senza che, ancora una volta, ciò significhi che dal punto di vista reale o morale non ci siano colpevoli.
Ma, e forse questo non è più così scontato, l’indagine scientifica dovrebbe porsi aldilà del problema di ciò che è moralmente o politicamente corretto, mirando a comprendere “la verità” delle cose. Solo che a questo punto dovremmo chiarire cosa si intende per verità e quindi riflettere sulla particolare epistemologia che, in modo più o meno consapevole, è alla base di molto del discorso pubblico contemporaneo, cosa che però credo davvero esuli del tutto dal tema di questa intervista.

Intervista  a cura di Roberto Nappi

La mia esperienza al Mondino di Pavia: la scoperta del Centro Cefalee dalla prospettiva di una specializzanda di Neurologia

15 Gennaio 2024

“Dottore, ho mal di testa!” quante volte da neurologi, durante i nostri ambulatori, abbiamo sentito i nostri pazienti pronunciare questa frase?
Innumerevoli, eppure “…è solo un mal di testa, chi non lo ha mai avuto nella vita? Cosa sarà mai? Si metta a riposare, vedrà che passerà!
Al massimo si prenda una tachipirina!”
Ecco, pure io la pensavo un po’ così, fino a quel giorno. Il giornoin cui capii che mi sbagliavo!
Spesso l’atteggiamento del curante, che non ha una grande esperienza sulla materia è portato a sottovalutare il sintomo o comunque a trattarlo come collaterale, soprattutto quando si manifesta in pazienti con altre problematiche.
Nella mia formazione da specializzanda in Neurologia ho avuto la fortuna di frequentare un Ospedale dove è presente un Centro Cefalee, ma occupandomi prevalentemente d’altro, non avevo mai potuto comprendere a pieno cosa si nascondesse dietro questa doglianza da parte del paziente.
Poi si è realizzata l’esperienza che mi ha davvero permesso di approfondire l’argomento presso l’IRCCS Fondazione Mondino di Pavia.
È iniziato per caso, una serie di incontri fortuiti mi hanno condotta presso questo istituto lo scorso mese di novembre. Avevo presentato la domanda per partecipare ad un’attività formativa pubblicizzata dal sito internet Medscape: “Advances in the Management of Migraine: Translating Clinical Evidence Into Practice at the Headache Science & Neurorehabilitation Center, Research Institute C. Mondino Foundation” e sono stata selezionata per questa importante esperienza formativa.
Fino a quel giorno la mia formazione come specializzanda di Neurologia era stata rivolta prevalentemente alle Malattie Rare e la cefalea era spesso un sintomo di contorno di altri quadri clinici o un problema minore da rimandare agli esperti del settore.
Per tre giorni sono stata ospitata, insieme ad altri colleghi, presso la Fondazione Mondino, uno dei principali Centri di referenza per la Cura e la Diagnosi delle Cefalee in Italia, guidato dalla Professoressa Tassorelli.
La professionalità, la dedizione e la grande ricerca scientifica svolta dai professionisti che ci lavorano fanno di questo Ospedale un polo d’eccellenza dove il paziente cefalalgico viene preso in cura, la terapia è cucita sartorialmente sulle esigenze dell’individuo, che viene messo al centro di un progetto di presa in carico multidisciplinare.
Perché lo sappiamo, i pazienti non sono tutti uguali, sono in primis persone, fatte del loro vissuto, delle strade che hanno incrociato, degli incontri e degli scontri che li hanno portanti ad essere ciò che sono, quello che noi vediamo, dall’altro lato della scrivania è solo la foto del momento presente.
Non solo terapie quindi, protocolli e linee guida, ma anche ascolto, attenzione e supporto compongono il giusto mix che ogni paziente dovrebbe ricevere nel suo percorso di diagnosi e cura. Questo a Pavia non manca di certo.
Nonostante esistano ottimi Centri Cefalee altrettanto validi, Pavia ha un punto di forza, la possibilità di poter ricoverare i pazienti.
Sappiamo ormai da anni che esistono delle Cefalee causate da un abuso di farmaci, sto parlando delle “Medication Overuse Headache”, una cefalea in cui il paziente entra in un circolo vizioso dove per far passare la sintomatologia assume la terapia, che sarà poi la causa del perpetuarsi del mal di testa. Fermare questo sistema, alle volte sembra impossibile, in quanto l’unico modo è smettere di assumere le terapie che causano la problematica. Il paziente si ritrova spaventato e spesso non è in grado di riuscirci al domicilio. La forza di volontà è un grande aiuto, ma spesso non basta. Al Mondino i pazienti che vengono ritenuti idonei possono essere ricoverati per brevi periodi e, grazie anche al sostegno degli psicologi e di terapie di supporto, possono riuscire in maniera più semplice a spezzare questo circolo di dipendenza.
Durante questi giorni sono state mostrate le innovazioni terapeutiche, gli studi presentati in Korea lo scorso settembre, dove si è tenuto il 21° congresso della Società Internazionale delle Cefalee. Grazie alla ricerca scientifica, oggi abbiamo diverse strategie terapeutiche che ci permettono di non gettare la spugna quando la prima linea di trattamento non dà i risultati sperati. Abbiamo avuto modo di sperimentare anche tecniche pratiche come: il blocco del Nervo Grande Occipitale e la somministrazione della Tossina Botulinica. Abbiamo avuto la possibilità di parlare con i pazienti e di confrontarci con colleghi provenienti da tutta Italia, discutendo insieme i nostri casi clinici.
Una cosa che mi ha favorevolmente impressionata è che in mezzo a tante novità offerte dalla più recente tecnologia biomedica, vi sia lo spazio per fare ricerca di altissimo livello pure su metodiche che nulla hanno a che vedere con la sola terapia farmacologica. Ad esempio, tra le nuove prospettive terapeutiche di supporto per il paziente con cefalea e dal favorevole risvolto clinico, molta ricerca si sta facendo sulle tecniche di rilassamento, come ad esempio la Mindfulness. Si tratta di una tecnica di meditazione, moderna e “laica”, ma sviluppata a partire dalla rivisitazione di alcuni precetti del buddismo, volta a portare l’attenzione del soggetto in maniera non giudicante verso il momento presente, al fine di scaricarlo di ogni tensione. Ritornare al presente ci consente di non rafforzare pattern di schemi mentali che possono in qualche modo aumentare la nostra percezione del dolore o del discomfort che alcune situazioni della vita quotidiana ci causano.
A Pavia, dove questa pratica è parte integrante del percorso di alcuni pazienti, ci è stata spiegata con la teoria delle frecce del Buddha.
Per il Buddha, chi viene a contatto con una sensazione spiacevole come reazione si preoccupa, si agita, piange, grida, si batte sul petto, perde il senso della realtà. Quindi egli fa esperienza di due dolori: quello fisico e quello mentale. La prima freccia rappresenta il dolore che inevitabilmente sperimentiamo. Ciò che avviene nel corpo. La seconda
freccia, invece, rappresenta la nostra reazione alla prima, cioè alle sensazioni dolorose che proviamo nel corpo. Riuscire a comprendere che le due frecce sono distinte l’una dall’altra, e possiamo farlo attraverso la pratica della Mindfulness, ci sarà di grande aiuto. Se la prima freccia è inevitabile, possiamo però modificare le nostre risposte al dolore, scegliendo così di non farci colpire anche dalla seconda freccia e quindi di non aggiungere dolore supplementare a quello che già proviamo. Per imparare a distinguere le due frecce è necessario sviluppare la concentrazione attraverso la pratica. Questo ci consente di acquisire la precisione mentale di cui necessitiamo per distinguere le sensazioni dolorose e notare che le nostre reazioni incontrollate ad esse sono in realtà distinte dal dolore in sé. Non possiamo agire sul dolore, ma possiamo farlo sulla percezione che abbiamo di esso, ecco quindi uno strumento in più, senza effetti collaterali.
Oggi sono tornata, nell’ambulatorio che frequento, continuo a vedere i pazienti con Malattie Rare, ma, grazie a questa esperienza, ho capito che il mal di testa nasconde un mondo vasto e da scoprire, dove quel sintomo altro non è che la punta di un iceberg, dove solo l’attenzione e l’ascolto del paziente possono permetterci di comprendere le esigenze e provare insieme ad averne cura, rigorosamente nel momento presente. Forse non seguirò mai in maniera prevalente pazienti con cefalea, ma di certo quest’esperienza mi ha arricchito molto nel mio percorso professionale di Neurologa e medico.

 

 

Dott.ssa Valeria Gioiosa
Sapienza Università di Roma
Polo Pontino, Latina

La Cefalea in cucina - Cefalee Today n.137

15 Gennaio 2024

Il cedro e il mal di testa

Eccoci ritrovati nella nostra rubrica. Dopo la digressione del numero precedente riprendiamo la carrellata sui singoli alimenti che potrebbero influenzare il mal di testa. Siamo reduci dal clima natalizio, ma abbiamo già parlato di spezie tipiche di queste festività, come lo zenzero e la cannella. Però c’è un’altra pianta il cui frutto può essere presente sulle nostre tavole di cui può valere la pena parlare perché in qualche modo molto legata a un dolce tipico del Natale, il Panettone, i cui canditi, croce e delizia di tanti golosoni italiani, son fatti appunto con la buccia del cedro (o citro).

Pianta dell’estremo oriente si diffuse fin dall’antichità sulle coste mediorientali del Mediterraneo (da non confondersi però con gli omonimi alberi appartenenti alla famiglia delle conifere, come i cedri del Libano). Da secoli molto diffusa nel Mezzogiorno d’Italia, soprattutto in Calabria (la pianta dà il nome alla cosiddetta ‘Costa dei Cedri’, al paese di Cetaro e al diffuso cognome Citro), l’utilizzo alimentare del suo frutto (o, per meglio dire, della sua buccia) è oggi apprezzato soprattutto nel Settentrione del Paese proprio per due specialità tipiche che ancora oggi lo hanno tra gli ingredienti: la Cedrata e appunto il Panettone (che quest’anno ha riscosso molti successi sulle tavole degli italiani, anche a causa delle polemiche che hanno investito incolpevolmente il suo storico rivale Pandoro).
Il cedro (Citrus medica) appartiene alla famiglia delle Rutaceae ed è considerato, assieme al pomelo e al mandarino, uno dei 3 capostipiti primordiali di tutti gli odierni agrumi (genere di cui prima o poi vi dovrò parlare, per il loro insospettabile effetto sull’emicrania).
Tuttavia, esso merita una trattazione a parte per alcune sue specificità. Come il nome scientifico lascia intuire (C. medica) è stato da sempre apprezzato nella medicina tradizionale per i suoi vari effetti farmacologici, cardioprotettivi, antipertensivi, diuretici, antibatterici, antimicotici, antimicrobici, analgesici, antiossidanti, antimutageni, antidiabetici, antiulcera e antiiperglicemici. Addirittura, pare che il suo utilizzo primordiale fosse solo rituale, balsamico e curativo, e solo in un secondo momento sia diventato anche d’interesse gastronomico. Grazie alla ricerca condotta su questo agrume, si è scoperto che effettivamente numerosi sono i composti bioattivi presenti al suo interno (prevalentemente nella buccia e nell’albedo, la parte banca che separa la buccia dalla polpa), come iso-limonene, citrale, limonene, fenoli, flavanoni, vitamina C, pectina, linalolo, decanale e nonanale.

Ma perché parlare di cedro e cefalea? Innanzitutto, perché i suoi estratti hanno proprietà antiossidanti, analgesiche e antinfiammatorie. Poi, riferendoci specificamente all’emicrania, si sa che il cedro inibisce la produzione e il rilascio di ossido nitrico, uno dei principali mediatori dell’emicrania per i suoi effetti algogeni, infiammatori e ossidanti, oltre che per il ruolo vasodilatatorio esercitato a livello endoteliale nei vasi del cosiddetto sistema trigemino-vascolare (una possibile fonte di dolore nell’emicrania).
Il cedro e i suoi estratti sono generalmente ritenuti essere sicuri e ben tollerati, sebbene in alcuni trial clinici con prodotti a base di questo agrume siano stati riportati casi di nausea. Invece, poco si sa su possibili interazioni del cedro con altri farmaci; a differenza del pompelmo, non ci sono infatti segnalazioni specifiche, ma neppure
studi a riguardo. Ma tornando all’emicrania, funziona davvero? Ci sono delle segnalazioni nella medicina tradizionale persiana dei benefici del succo di cedro (che però dovrebbe essere ben diverso dalla cedrata che noi conosciamo) nel mal di testa. Ma la medicina moderna cosa ne pensa? Uno studio iraniano ha proprio valutato l’efficacia di questo succo tradizionale in un gruppo di soggetti con emicrania.
I pazienti sono stati casualmente suddivisi in 3 bracci: in uno hanno assunto per un mese 15 ml 3 volte al giorno 15 ml di sciroppo di cedro; in un altro, 15 ml 3 volte al giorno di sciroppo placebo; in un altro ancora, propranololo 20 mg 3 volte al giorno.
Rispetto al placebo, lo sciroppo di cedro è stato associato a una riduzione significativa dell’intensità e della durata degli attacchi di emicrania, ma non della loro frequenza. Il cedro era paragonabile al propranololo nei suoi effetti profilattici sull’intensità e la durata dell’emicrania, non sulla frequenza. Insomma, che dire, pare che il cedro effettivamente potrebbe essere utile per aiutare i soggetti con emicrania, anche se i dati mostrati presentano alcune debolezze e sono necessari ulteriori studi con più soggetti e più a lungo termine (almeno 3 mesi) per corroborare questi risultati. Tuttavia, date le premesse e la sicurezza del prodotto, potrebbe essere un alimento da riscoprire, magari per preparare zuppe, insalate, creme, marmellate, oltre che per insaporire primi e secondi. Insomma, non associate più il cedro ai soli amati-odiati canditi nei vostri panettoni. A proposito, voi cosa preferite, il Panettone o il Pandoro?
Fatemelo sapere e buon anno.

A cura della Dott.ssa Eleonora Di Pietro,
Biologa nutrizionista - Associazione Eupraxia

Rassegna Stampa e Web 2023

23 Dicembre 2023

SANITA’. IN VENETO QUASI UN MILIONE DI EURO PER PROGETTO CONTRO LA CEFALEA. LANZARIN, “PATOLOGIA DIFFUSA E SPESSO INVALIDANTE. NASCE LA RETE VENETA CEFALEE”
Dettaglio articolo - Regione del Veneto - 23 Dicembre 2023

Cefalea, emicrania cause: il ruolo dei muscoli del collo
Gazzetta.it - 13 Dicembre 2023

Vino rosso: perché fa venire il mal di testa ad alcune persone
Gazzetta.it - 09 Dicembre 2023

Emicrania: Aifa concede rimborsabilità di eptinezumab
Corriere Nazionale - 01 Dicembre 2023

Salute della donna: ormoni personalizzati per curare le cefalee
unipv.news | Il magazine dell'Università di Pavia - 01 Dicembre 2023

Cefalea cronica invalidante. In Gazzetta Ufficiale le linee d’indirizzo per i progetti regionali
Quotidiano Sanità - 20 Luglio 2023

Long Covid: su 3mila casi il 91% con cefalea atipica o insonnia
Gazzetta Salute - 05 Luglio 2023

Cefalea primaria cronica. A Camerae Sanitatis le riflessioni sull’ultimo miglio per la presa in carico della patologia
Quotidiano Sanità - 26 Giugno 2023

Emicrania con aura: cos'è, sintomi caratteristici e integratori utili
Gazzetta Salute - 04 Giugno 2023

Cefalea cronica: la legge ha tre anni, ma dei decreti attuativi non c'è ancora traccia
Repubblica Salute - 22 Maggio 2023

Emicrania per 6 mln di italiani, ma il reale riconoscimento della malattia appare lontano. Le riflessioni a Camerae Sanitatis
Quotidiano Sanità - 19 Maggio 2023

Emicrania: cosa fare quando ti viene e come prevenirla
Gazzetta Salute- 05 Maggio 2023

Emicrania, gli esperti fanno il punto sulle cause e le terapie
Ansa.it - 03 Maggio 2023

Mal di testa ogni giorno alla stessa ora? Ecco perché succede
Gazzetta Salute- 05 Aprile 2023

Nuovo farmaco: tossina botulinica. La Neurologia di Gallarate eccellenza all’avanguardia
Malpensa 24- 28 Marzo 2023

Nuovo bando aperto: indagine sull'accesso alle cure condotta da EHMA
EHMA Newsletter- Marzo 2023

Cefalea cronica, stanziati 5 milioni a Regioni per 2023-2024
DottNet - 23 Marzo 2023

ROSSELLA NAPPI CONTRO LO STIGMA DELLA MENOPAUSA: LA PROF.SSA UNIPV INTERVISTATA DA «THE LANCET»
UniPV News - 07 Marzo 2023

Considerare la storia di emicrania per valutare il rischio ostetrico
Neurologia Italiana - 06 Marzo 2023

Cefalea cronica invalidante. Arrivano le linee d’indirizzo per i progetti regionali
Quotidiano Sanità - 15 Febbraio 2023

Emicrania, malattia femminile: come e dove curarsi
Donna Moderna - 20 Gennaio 2023

Al Sant’Anna di Cona un open day sull’emicrania
estense.com Ferrara - 19 Gennaio 2023

La cefalea colpisce 6milioni di persone: è ora di riconoscerla come "malattia sociale"
Giornale La Voce - 10 Gennaio 2023

Riconoscimento della cefalea come malattia sociale
Silvio Magliano - 10 Gennaio 2023

Nuovo numero di Confinia Cephalalgica et Neurologica 3/2023

15 Dicembre 2023

Il nuovo numero 3/2023 della rivista è disponibile ora a questo link https://www.mattioli1885journals.com/index.php/confinia/issue/view/853.

SOMMARIO

Editorial

Editorial - Paolo Mazzarello, Giorgio Sandrini, Mariano Martini

History of medicine

Giorgio Valla e l’anatomo-fisiologia dei nervi nelle fonti greche del De expetendis et fugiendis rebus opus – Berenice Cavarra, Marco Cilione

Carlo Livi: Un medico innovatore nello studio delle malattie mentali e nella relazione medico-paziente – Davide Orsini, Mariano Martini

Indocili e non sottomesse: Un approccio storico alla condizione delle donne in manicomio tra Ottocento e Novecento – Mariano Martini, Maria Carla Garbarino, Davide Orsini

I percorsi delle prime psichiatre italiane attraverso nuovi documenti (concorsi per medici nei manicomi) – Vanessa Sabbatini

HEADACHE AND PAIN RESEARCH

Proposal of combination therapies to treat refractory chronic migraine – Damiana Scuteri, Martina Pagliaro, Andrea Monteleone, Assunta Tarsitano, Rosario Iannacchero, Marilù Vulnera, Giorgio Sandrini, Paolo Tonin, Giacinto Bagetta, Maria Tiziana Corasaniti

Books

Books

 

CALENDARIO DELLA CEFALEA 2024

15 Dicembre 2023

E' ora disponibile nell'area riservata del sito il Calendario della Cefalea 2024. Il Calendario può essere scaricato esclusivamente da tutti i soci ordinari e sostenitori che hanno inviato la propria adesione per l'anno 2024. Chi non fosse in possesso delle credenziali per accedere all'area riservata può farne richiesta a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. PIU' SIAMO, PIU' CONTIAMO!

LA TESTIMONIANZA DI Al.Ce. ALLA MONDINO NEURO WEEK 2023

22 Novembre 2023

La Fondazione Mondino di Pavia, Centro di Eccellenza Monotematico per la Neurologia, celebra i 50 anni dal Riconoscimento quale Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico ottenuto nel 1973. Nell'ambito della settimana di eventi è previsto anche un appuntamento divulgativo giovedì 30 novembre dedicato in parte alle Cefalee. Nell'occasione saranno trasmesse le video testimonianze di Lara Merighi, Coordinatrice Nazionale di Al.Ce., e di Alessandra Sorrentino, Rappresentante di Al.Ce. presso la EMHA (European Migraine & Headache Alliance).

Ascolta la testimonianza di Lara Merighi 

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Nuovo numero di Cefalee Today n.136 disponibile

24 Ottobre 2023

E' disponibile il nuovo numero 136 di Cefalee Today del mese di Settembre

Leggi il sommario dei contenuti

Editoriale - Cefalee Today n.136

24 Ottobre 2023

È un piacere ritrovarvi, care amiche e cari amici, per presentarvi il numero autunnale del nostro giornalino. L’autunno è periodo di vendemmia e riattivazione dei grappoli, di colori caldi e prime cefalee da freddo (anche se quest’anno pare tardi ad abbassarsi la barretta di mercurio), tornano le castagne, ma pure l’umidità che porta spesso con sé attacchi più intensi e lunghi.
Insomma, per una comunità come la nostra, ogni stagione ha le proprie pecche. Tuttavia, è pure il periodo in cui tutto riparte dopo la pausa estiva e le novità son tante, sebbene ancora senza troppe ricadute pratiche. Ad esempio, è stata approvata la rimborsabilità per il quarto anticorpo monoclonale, l’eptinezumab, il primo endovena, che necessita di una somministrazione ospedaliera ogni 3 mesi, come per il botulino, e con una rapidità di risposta elevata. Tutto bello, quindi. Peccato che ora la palla sia in mano alle Regioni, le quali devono indire le gare per l’acquisto del farmaco e stabilire le modalità di erogazione. Speriamo di saperne di più nei prossimi giorni e darvi delle news per il prossimo numero. Idem per la rimborsabilità del rimegepant. Pareva fosse una questione imminente già all’uscita del numero precedente, invece ancora non sappiamo nulla.

Ci sono, invece novità sul fronte sulla legge 81/2020, quella che riconosce la cefalea primaria cronica come malattia ad impatto sociale. Sulla gazzetta ufficiale del 17 luglio scorso sono finalmente stati pubblicati i decreti attuativi che consentiranno a quella norma di diventare esecutiva. Cosa significa questo? In pratica vengono stanziati dei fondi per ciascuna Regione al fine di creare dei percorsi terapeutici più efficienti per la presa in carico del paziente con cefalea. Certo, anche questa cosa non cambia nell’immediato la vita di noi cefalalgici, ma è sicuramente un primo passo importante nella giusta direzione, quella del reintegro delle cefalee nei livelli essenziali di assistenza e la creazione di percorsi diagnostico-terapeutici specifici, per consentire le migliori possibilità di cura a tutti i pazienti, indipendentemente dalla residenza e dalle possibilità economiche. In fondo, da un sistema sanitario universalistico come il nostro, non ci si aspetta nulla di più, nulla di meno.

Veniamo ora ai contributi presenti su questo numero, fortemente polarizzati da un fatto di cronaca risalente a qualche mese fa, di cui si è tornato a parlare nel fine estate a causa del termine delle indagini. Una giovane donna si era rivolta a diversi reparti di pronto soccorso per la propria cefalea, prima che le venisse diagnosticata una meningite che purtroppo l’ha portata al decesso. Le indagini si sono concluse con la richiesta di rinvio a giudizio di diversi medici coinvolti nella vicenda. Ma non sono gli aspetti giudiziari a interessarci, non siamo titolati a parlarne e non conosciamo i dettagli, quanto piuttosto il fatto che molti pazienti si siano preoccupati e abbiano perso di fiducia nei confronti delle strutture di sanità pubblica. Per affrontare correttamente la questione e nella speranza di tranquillizzare i pazienti, il nostro Roberto Nappi ha intervistato il prof. Pietro Cortelli, presidente della ANEU, l’associazione dei neurologi che lavorano nell’emergenza urgenza. Si affronta il tema delle cefalee al pronto soccorso e si spiega come possa fare un neurologo per orientarsi nel poco tempo a disposizione per l’osservazione del paziente. Per completare la trattazione della questione e dare il giusto risalto all’argomento delle cefalee da meningite, per la rubrica Amarcord recuperiamo un articolo dell’agosto 2005 (numero 39) a cura del prof. Enrico Marchioni inerente proprio le cefalee in corso di meningite. Insomma, forse è poco, ma è l’unico modo che abbiamo per onorare la memoria della povera paziente che non c’è più e, contestualmente, provare a rassicurare le tante persone che spaventate ci hanno contattato.

Cambiando, invece completamente argomento, l’articolo a cura del dottor Francesco Casillo tratta un tema a me particolarmente caro: la relazione tra fumo di sigaretta e cefalea. Partendo dal presupposto che ogni sigaretta fumata è un di troppo, è giusto affrontare questo argomento molto spesso ignorato e minimizzato dai pazienti fumatori (e nell’articolo viene anche chiaramente spiegato come mai questo succeda). Tutto è partito da un’osservazione: molti pazienti per migliorare la propria cefalea decidono autonomamente di smettere o limitare il consumo di caffè (che spesso è migliorativo), mai delle sigarette. Parlandone col dottor Casillo è nata l’idea di approfondire la questione e i risultati sono interessantissimi. Se fumate, vi esorto caldamente a leggere il pezzo.

Infine, per la rubrica “la Cefalea in cucina”, nel suo nuovo articolo, la dottoressa Eleonora Di Pietro, biologa nutrizionista dell’Associazione Eupraxia, interrompe la sequenza monografica sulle spezie nelle cefalee perché le ho chiesto di commentare per noi un recente articolo pubblicato da un gruppo di ricerca iraniano secondo il quale una dieta caratterizzata da una grande diversità alimentare possa essere protettiva nei confronti dell’emicrania: insomma, la famosa dieta varia ed equilibrata a cui tutti noi dovremmo tendere.

Come sempre, spero che gli argomenti siano di vostro gradimento. Buona lettura e fateci conoscere i vostri commenti.

Dott. Cherubino Di Lorenzo
Direttore Scientifico Cefalee Today

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